1827 AUTENTICA DI FELSINA IL PROFUMO DI BOLOGNA


Avete mai aperto un vecchio cassetto e sperato di trovare un piccolo tesoro? Siete mai andati nella soffitta della zia dove, accatastati in un angolo, impolverati e al buio, giacciono bauli, cassette e quadri che raccontano storie passate, con la speranza che vi rivelino piccoli segreti?

C’è chi ha avuto questa fortuna.

Un giorno Barbara, facendo ordine nella cantina del nonno, trova libri, quaderni e fogli ingialliti con una calligrafia antica e dei fogli protocollo che lei stessa aveva scritto sotto dettatura del nonno. 

Tra le sue mani, la storia della sua famiglia, la storia di un profumo, la storia di un’intera città: Bologna.

In quella cantina Barbara, nipote del naso Livio Grandi, scopre alcuni documenti appartenuti al nonno tra cui le due formule dell’ “acqua di felsina bianca” e dell’ “acqua di felsina rossa”. 

Sentimenti, pensieri ed emozioni la travolgono. Chiama immediatamente il fratello Pierpaolo.  è chiaro sin da subito quello che vogliono fare: restituire alla città di Bologna il suo profumo: L’Autentica diFelsina.

Rinasce così l’essenza che per anni invase le case, i salotti e le vie della città. Sì, perché, ogni anno, il giorno in cui la Madonna della Pioggia veniva portata in processione attraversando, come avviene ancora oggi, il lunghissimo portico di San Luca, i bolognesi imbevevano i fazzoletti con cui salutavano l’arrivo della loro protettrice con l'amato profumo e questo si diffondeva ovunque.

Ma facciamo un passo indietro. Ripercorriamo il tempo e la storia dell’acqua di questo antico profumo.  

Era il 21 maggio 1827 quando Pietro Bortolotti presentò alla Commissione Sanità la sua storica invenzione, la ricetta denominata “acqua di felsina”, ottenendo il permesso per venderla nella propria profumeria sotto il portico del Pavaglione. Oltre a un “gratissimo profumo”, la fragranza aveva innumerevoli proprietà benefiche e il suo successo gli permise di avviare una fiorente attività. L’essenza, nella variante Rossa e Bianca, fu pluripremiata alle esposizioni di tutta Europa, conquistò anche l’America e si guadagnò un posto di tutto rispetto nella storia della profumeria italiana. Era amata da personalità come Guglielmo Marconi e del suo largo impiego ci hanno lasciato testimonianza scrittori come Alfredo Testoni, Mario Praz e Italo Calvino che ne parlano nelle loro opere. Ma la storica fragranza denominata “acqua di felsina” era soprattutto il profumo di Bologna.

Il Portico del Pavaglione, vicino all’Archiginnasio che fu sede della più antica università occidentale, era inebriato dagli effluvi dello storico profumo perché lì veniva realizzato e venduto. I reali d’Italia lo conobbero e l’apprezzarono così tanto da conferire alla ditta un gioiello e il privilegio di denominare l’attività “Imperiale e Reale Profumeria”. La fragranza era così diffusa da essere imitata da altre case di profumo locali e persino le donne bolognesi provavano a prepararla utilizzando agrumi, spezie e benzoino. Ma la vera formula e il metodo di produzione rimasero sempre un segreto.

La ditta Bortolotti aveva mantenuto una conduzione familiare tramandando il mestiere di padre in figlio per quattro generazioni, in un arco temporale che abbracciava la restaurazione, i primi moti risorgimentali, l’unità d’Italia e due guerre mondiali. Solo nell’ultimo dopoguerra, con la scomparsa di Pietro Bortolotti, ultimo profumiere della ditta che portava lo stesso nome del fondatore, si creò un vuoto nella successione. La moglie, che da tempo dirigeva l’azienda, propose allora a un proprio cugino di imparare il mestiere. Quell’uomo era Livio Grandi.

Il futuro realizzatore della fragranza conosciuta come “acqua di felsina” aveva trent’anni ed era reduce dalla guerra. La sua terribile esperienza del fronte e l’agonia del lungo viaggio di ritorno a piedi dalla Russia potevano essere riscattati solo dal contatto con la vitalità e la bellezza del profumo. Accettò quindi la sfida e imparò a preparare artigianalmente, come si faceva allora, le due varianti dell’essenza, quella bianca e quella rossa, diventando erede e custode del segreto delle due fragranze.

Un giorno Livio Grandi chiamò Barbara, che allora aveva 12 anni, e le chiese di trascrivere le formule su un foglio facendo così una copia dell’unico documento originale esistente. 

I tempi stavano per cambiare e di lì a poco lo storico profumo bolognese sarebbe stato scalzato dai profumi più alla moda. La produzione cessò infatti negli anni Ottanta con rammarico di tutti quei bolognesi che avevano legato ad essa i loro ricordi.

Sceso dal luminoso piedistallo conquistato durante la Belle Epoque, il profumo cadde in oblio e lì sarebbe rimasto se non fosse stato per un evento forse non del tutto casuale.

I sogni diventano realtà. 

Oggi possiamo ritrovarla nelle profumerie di nicchia, nella sua elegante confezione.

Un profumo che evolve in continuazione.

Testa La fragranza interpreta l'archetipo dell'acqua di colonia caratterizzata da note agrumate e fresche.

Cuore: Neroli e un delicato bouquet floreale regalano un’impressione ariosa ed energizzante resa confortevole dalle materie prime coloniali, protagoniste di un accordo 'ambrosia' dal carattere orientale-speziato.

Fondo: Muschi bianchi antichi affini all'odore della pelle, tessono insieme all'iris una velatura poudré: sigillo di una quieta eleganza.

Autentica di felsina 100ml 165 euro






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