Il Moretto del Bar Matteo




Ci sono pensieri che rimangono lì, latenti nella mente, che aspettano solo di essere versati, ma non riescono a trovare sfogo.
Pezzi  già scritti nel cuore ma bloccati nella tastiera.
Il tempo passa, accadono cose, vieni trascinata da tutto quello che c’è intorno e hai sempre quel post-it attaccato al muro dell’anima che ti guarda severamente, ricordandoti che non l’hai ancora scritto. Che hai ancora una volta mancato al tuo dovere. Con te stessa.
Poi arriva un giorno e ti penti di non esserti fermata a scrivere quello che era semplicemente da aprire. Non era questione di fatica, perché sapevi che le parole sarebbero sgorgate senza difficoltà. Forse, per scrivere certi pezzi, bisogna trovare il giusto silenzio. Certi pezzi hanno bisogno di cura più di altri.  
Poi arriva quel giorno, e da lì in poi, non ti perdonerai mai di non averlo fatto prima. E ti penti. Molto.  Ti dispiace, no, ti arrabbi proprio, perché sai che non puoi più regalare le tue parole ad un amico. Quello che sapevi  ti avrebbe poi chiamata per dirti qualcosa, quello a cui sapevi  avrebbe fatto piacere ricevere in regalo le tue parole, la tua riconoscenza, la tua stima.

Per chi non ha mai vissuto in un paese, forse non può capire. Chi vive nelle grandi città, quelle che si sviluppano in verticale, non sanno che gusto ha quell’abbraccio che si estende a macchia d’olio in una piccola comunità. 
Cinge e stringe, scalda, protegge e soffoca.
Ogni paese ha un punto di riferimento per tutti gli abitanti. 
Non è il genere che lo erge a vessillo ma sono le persone che lo vivono, che lo rendo un punto nevralgico della quotidianità.
Può essere la bottega della Gina, ferma agli anni 50 dove trovi di tutto, la tabaccheria, la sarta che è in piazza, la chiesa,  la rivendita dei giornali sull’angolo della via dove sai che, verso l’ora di pranzo, trovi Rino con le uova fresche nel cestino della biciletta che sta tornando dal suo pollaio.
Piccoli rituali. Punti fermi. Silenti e invisibili colonne che sai esserci e che sono ciò che ti fanno sentire parte di un tutto. È la vita di paese.


A Gavi c’è un luogo che è la casa di tutti. Sarà perché è lì dal ’46, sarà perché quelle porte sono sempre aperte, sarà perché c’è sempre un nome ricorrente nei discendenti ed un cognome che ha scritto e scrive la vita di generazioni.
Il Bar Matteo, della famiglia Gastaldo è lì. Punto.
Il Bar Matteo è LA gelateria.
Correva l'anno 1921 quando il mitico Matteo, Matluccio per i gaviesi, iniziava ad inventare e sperimentare un nuovo modo di fare i gelati, per poi venderli ai golosi dei paesi limitrofi, spostandosi con il suo carrettino.
In zona, fu il primo a ad utilizzare i martelli di legno al posto di quelli di sughero per frantumare il ghiaccio. La sua determinazione lo portò a continuare nella sua attività, senz’altro spinto dalla moglie Colombina, la vera anima commerciale della coppia.
Poco a poco, nel 1946, venne aperto il locale a Gavi,  una rivoluzione perché, da quel momento, per gustare le specialità del "Maestro", bisognava arrivare fino nella piazza di quel paese che sta tra la Liguria e il Piemonte.


Passano le guerre, le alluvioni, le feste, quelle comandate e quelle che spuntano inaspettate tra un aperitivo ed un calice di Gavi in una sera d’estate, il bar Matteo è lì, presente, che guarda il Forte di Gavi da una vita.
Tavola calda a pranzo, un panino e una birra prima di andare a dormire, c’è sempre qualcuno che guarda una partita, qualcuno che butta il naso dentro per vedere se c’è qualcun altro per due chiacchiere o da sfottere. Una danza continua di età, persone, racconti.
Ancora oggi viene fatto il gelato come una volta. 
Avete presente quelle vetrine con migliaia di gusti con vasche traboccanti di gelato superspumoso? 
Ecco, scordatevelo al bar Matteo. 
Pochi gusti, buoni. Definiti. Puliti e sinceri. Il cioccolato è cioccolato, l’amarena è l’amarena e la crema sa di crema. Le alternative le detta la stagione con i suoi frutti e non la moda.
Non c’è esibizione da palcoscenico con casacche immacolate da chef, non ci sono gusti esotici, non c’è la nuvola di azoto per esibizioni circensi. Nessuna gara internazionale, premio o show, la gelateria del bar Matteo, non ne ha bisogno, non ha nulla da dimostrare.
Ci sono quelle palette, le stesse, che da anni raccolgono gelato e lo sistemano sui coni, ci sono le coppe di vetro colorate  ma resistono con fierezza quelle piccole d’acciaio degli anni 60. C’è la Elena, Baldo, Marisa, i ragazzi dietro al bancone, lo zio Edo e il Bumba. C’è tutto.


C’è anche il desiderio di riscoprire il senso di se stessi e del proprio lavoro, ripercorrendo a ritroso nel tempo quello che il nonno Matteo  aveva già fatto quasi un secolo fa. 
E così, l’ultima generazione, Il Bumba, rimette le ruote ai suoi gelati e col carretto si spinge fino in Liguria dove, i bar e gli stabilimenti della riviera, vengono riforniti del suo Moretto. 
Un cono, una pallina di crema e una colata calda di cioccolata fatta raffreddare subito.
Il Moretto, che per tutti gli anni '90 e 2000 era sparito, oggi è diventata la star.

Il bar Matteo è un posto speciale, perché sono speciali le persone che lo vivono, e lo fanno vivere.
Non è solo un luogo di ritrovo. È dove sai che puoi trovare sempre qualcuno che ti dà una mano. 
Non importa a che ora chiami, di cosa hai bisogno, di cosa devi fare, inventare, sbrigare, sai che c’è sempre un Gastaldo pronto per farsi in quattro per te.
A Matteo, alla piccola Elena, a Marisa, Baldo, alla Elena, allo zio Edo. Il mio grazie.
Al Bumba, perché, come dico sempre, tutti dovrebbero aver un Bumba nella propria vita. Solo allora si può capire che gusto ha l'amicizia. Grazie. 
E a tutti quelli che vivono la casa del Matteo  perché sanno di cosa parlo.

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